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Acqua in Sicilia: dilemma potabilità

In Sicilia l’acqua è tutt’altro che potabile in 13 casi su 16. L’ultimo report dell’Arpa. Tra le province di Palermo e Agrigento la maggior parte delle sorgenti a rischio.

In Sicilia l’acqua è tutt’altro che potabile in 13 casi su 16. E non è un problema dei potabilizzatori, dove non dovrebbe essere nemmeno condotta perché mancante dei requisiti minimi necessari per essere potabilizzata e destinata all’uso umano. Così ha certificato l’Arpa Sicilia, pubblicando un report sulla qualità delle acque destinate alla potabilizzazione. Nel dettaglio: la diga Ancipa di Troina in provincia di Enna, poi la parte meridionale del fiume Imera in provincia di Palermo tra Sant’Andrea e Petralia Sottana, e l’invaso Prizzi nel Palermitano, sono le tre sole sorgenti considerate col bollino verde. Hanno tutti i parametri fisici, chimici e microbiologici in regola. Tali acque confluiscono nei potabilizzatori di Blufi, dell’Ancipa e di Corleone, e poi negli acquedotti che servono i rispettivi territori. Invece sono bocciate senza appello le altre 13 sorgenti. Nell’invaso di Santa Rosalia a Ragusa non sono conformi i valori di manganese e ossigeno disciolto, con presenza anche di tensioattivi e fosfati. L’invaso Dirillo, a Licodia Eubea in provincia di Catania, ha valori anomali di ossigeno disciolto. Nell’invaso Cimia, nei pressi di Niscemi in provincia di Caltanissetta, sono stati rilevati batteri coliformi e salmonelle. La maggior parte di invasi e sorgenti di acque da potabilizzare si trovano tra l’Agrigentino e il Palermitano: dall’invaso Castello di Bivona in provincia di Agrigento al fiume Jato a Partinico nel Palermitano. In queste fonti l’Arpa ha rilevato, nelle varie stazioni di campionamento, cloruri, solfati, fluoruri, coliformi totali, coliformi fecali, streptococchi fecali, salmonelle. I valori anomali di tali parametri compromettono la qualità delle acque, che non potrebbero essere condotte al potabilizzatore e quindi alla popolazione. E nel rapporto dell’Arpa tra l’altro si spiega e si legge: “Per tutti i corpi idrici in cui è stata determinata una condizione di non conformità, essa quasi sempre è il risultato d’impatti attribuibili alla presenza di scarichi non depurati o di origine agricola, come l’utilizzo eccessivo di concimi azotati e di prodotti fitosanitari. E poi incidono in negativo i siti contaminati, i plessi industriali abbandonati e le discariche”. A fronte di ciò in Sicilia è in fase di aggiornamento uno strumento essenziale, ovvero il Pta, il Piano di tutela delle acque, che dovrà contenere, in particolare, i risultati dell’attività conoscitiva, l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale, l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico. Si tratta quindi di un piano particolareggiato, che contiene anche l’indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità, il programma di verifica dell’efficacia degli interventi previsti, e gli interventi di bonifica dei corpi idrici.

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