HomeSenza categoriaIl caso Monte dei Paschi di Siena - parte 3

Il caso Monte dei Paschi di Siena – parte 3

Lo scorso 4 dicembre c’è stato il tanto atteso responso: vince il NO al referendum, e Renzi si dimette. Gli investitori privati che avevano dato la loro disponibilità si dileguano, inizia per la banca una vera e propria crisi di liquidità: i risparmiatori chiudono conti correnti per 6 mld di euro, i prestiti interbancari si riducono in maniera impressionante. Il 22 dicembre viene dichiarato fallito il piano di aumento di capitale privato, MPS chiede una proroga di 20 giorni alla BCE, che viene negata: a questo punto, la Banca non può far altro che chiedere aiuto allo Stato, e cercare di salvare i risparmiatori rimasti evitando la soluzione del “bail-in”.
Il Governo nel frattempo, rendendosi conto della situazione, approvava in tutta fretta lo scudo Salvabanche: si faceva cioè autorizzare dal parlamento a stanziare 20 miliardi per interventi nel sistema bancario, di cui 5 sarebbero stati destinati al salvataggio di MpS.
A questo punto, l’affondo finale: a causa del “rapido deterioramento” dei titoli avvenuto nel corso del mese di dicembre dovuto alla crisi di liquidità citata prima, la Vigilanza Bce dichiara che MPS dovrà apportare un aumento di capitale quasi doppio rispetto a quello richiesto precedentemente. Per salvare la Banca, lo Stato dovrà ora versare più di 8 mln di euro, al posto dei 5 finora richiesti.

Adesso la Banca è detenuta quasi interamente dallo Stato, e si è riusciti ad evitare una ricaduta troppo pesante sui risparmiatori, intraprendendo la via del burden sharing che tutela al 100% tutti i correntisti e gli obbligazionisti senior. Inoltre le obbligazioni subordinate, al momento convertite in azioni, verranno “riacquistate” dallo Stato e scambiate con obbligazioni ordinarie di nuova emissione.

Oltre alle ovvie considerazioni sullo stato disastroso in cui versa oggi il sistema bancario italiano e sui meccanismi perversi che lo regolano, il quadro che emerge da questa sconfortante vicenda evidenzia, a parere di chi scrive, due aspetti: un’imperdonabile superficialità da parte della BCE nella gestione del caso MPS, che avrebbe richiesto più flessibilità e prudenza, per limitare di molto l’ondata di panico che ha travolto investitori e risparmiatori e ha causato letteralmente la fuga dei potenziali investitori privati, azzerando per la Banca la possibilità di farcela senza l’intervento dello Stato; in secondo luogo, una totale incoscienza da parte della politica e del Governo: la sola instabilità politica conseguente al referendum di dicembre, che, a prescindere dall’esito dello stesso, avrebbe potuto essere perlomeno rimandata alla conclusione dell’operazione, è costata allo Stato (e in definitiva a noi contributori) quasi 4 mln in più del dovuto. In definitiva, forse se la BCE avesse concesso la breve proroga richiesta, i risparmiatori sarebbero stati più sereni. Forse, se Renzi avesse aspettato a dimettersi, gli investitori privati, tra cui il fondo sovrano del Qatar con il quale l’ex Premier aveva voluto trattare personalmente, non si sarebbero dileguati. Forse MPS non si sarebbe comunque salvata da sola. O forse sì.

Sabrina Santamaria
Sabrina Santamariahttps://www.teleacras.it
Laureata in Economia con specializzazione in Management Aziendale, è Manager di una società di consulting nel settore banche e assicurazioni con sede a Milano. Su Teleacras cura la rubrica d'economia «Asso di denari»
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