HomeEDITORIALIVoi che difendete il crocifisso, imparate da chi non ha fede

Voi che difendete il crocifisso, imparate da chi non ha fede

La scorsa domenica il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista di Candida Morvillo a Gianni Vattimo. Il teorico del Pensiero Debole si confessa a cuore aperto, con distacco e naturalezza parla dei propri rimpianti nei rapporti amorosi, non lesina a se stesso piccoli rimproveri, si rammarica della mancata attenzione dell’Italia ai propri scritti, per la cui preservazione si sono invece offerti nella penisola iberica. Gianni Vattimo è stato (ed è) un intellettuale a stretto contatto con i problemi sociali, anni di nette prese di posizione e un passato da europarlamentare che gli ha generato, confessa, il senso di colpa di prendere troppi soldi per non fare abbastanza. Omosessuale, controcorrente, indipendente, ateo, il filosofo torinese si è negli anni avvicinato a una forma di cristianesimo figlia delle concezioni del suo maestro Luigi Pareyson e del teologo Sergio Quinzio, ma non per questo derivativa: Dio non è morto, nel pensiero di Vattimo la sua idea esiste, ma va “svuotata”. È curioso come chi si ponga i maggiori problemi religiosi siano spesso i teologi, da un lato, e gli agnostici e gli atei dall’altro. Ed è curioso come quest’ultimi, con l’avanzare degli anni, si avvicino inevitabilmente a una forma di religiosità, che elaborano negli anni. Non parlo di conversion: parlo dell’esigenza di religione in chi religioso non è, del bisogno di credere in un sistema morale e spirituale di cui il divino si fa simbolo e ricettacolo.

Sono agnostico da oltre 20 anni. Poco tempo dopo la comunione, fra gli 11 e i 12 anni, ricordo chiaramente di aver sentito i primi dubbi riguardo l’esistenza di una divinità a sovrintendere alle nostre esistenze. Dubbi che non si sono mai dissipati, e che sono stati da allora fonte di tutte le mie domande legate al trascendente. Quando si sentono i primi crepitii dello scricchiolare della fede vi sono due scenari possibili: nel primo i dubbi si dissipano e le fondamenta fideistiche inevitabilmente si rafforzano; nel secondo lo scricchiolare continua, i cocci continuano a cadere, la parete si sfalda, ogni appiglio di dogmatismo cessa e si comincia a guardare oltre il muro. Ma la luce oltre quel muro è così forte che in prima battuta non si può non accecarsi. Si diventa così quel che Herman Hesse chiamava “der suchende“, colui che cerca. Il senso dell’agnosticismo sta tutto lì, nella ricerca di qualcosa che solo l’accettazione incondizionata di una professione di fede riesce a dare. Arrendersi all’ineffabilità dell’assenza di risposta metafisica e non porsi domande non è da agnostici: è da ignavi.

Il tempo delle domande si alterna a quello delle risposte, tutte rigorosamente parziali di fronte al problema di Dio, ma che contribuiscono al formarsi di una visione delle cose inevitabilmente scissa da ogni dogma.
Oggi non sposo alcuna fede religiosa, ho un’opinione tendenzialmente terribile delle istituzioni che gestiscono il potere spirituale di ogni confessione, pur rifuggendo i preconcetti: le istituzioni sono formate da uomini, virtuosi e immorali convivono sotto lo stesso tetto. Credo in Gesù Cristo come figlio dell’uomo, non di un dio. E credo che, come pochi eccezionali figli dell’uomo nella storia, abbia lasciato del suo passaggio in terra una traccia importantissima proprio in virtù dei suoi messaggi rivoluzionari, che già 2000 anni costituivano eresia pura e sfida al potere costituito. È una figura è un simbolo al di fuori della religione: è etica, politica, morale, è spirito e materia, è reazione e rivoluzione. Il suo pensiero può essere sposato al di là di ogni professione di fede e dell’abbracciamento di ogni dogma.

Negli ultimi decenni, Vattimo ha parlato di kénōsis (κένωσις), di un depotenziamento del concetto di Dio proprio in virtù della sua incarnazione in uomo. Che Gesù fosse un profeta, un pazzo, un grande affabulatore o effettivamente il figlio di un Dio forse poco importa: è uno dei personaggi più rilevanti della storia dell’umanità e, come tutti gli uomini dal pensiero rilevante, per questa ragione il proprio credo e le proprie idee sono risultate soggette a ogni interpretazione e manipolazione. La sua crocifissione ha avuto un forte significato politico e sociale, e ha lasciato un messaggio che va oltre lo spirito:  «Cristo ha rivelato, subendolo, il meccanismo violento di qualsiasi forma di religione basata su una trascendenza assoluta», dice Vattimo, ricordandoci non solo l’inutilità, ma anche la pericolosità di ogni dogmatismo metafisico che generi incondizionata fede e cieca obbedienza, e che soprattutto tenda alla repressione dell’idea divergente, dell’eresia.
Cristo è prima di tutto il suo messaggio e, come a chiunque creda fortemente nel potere delle parole, delle idee e della morale, al filosofo torinese non è bastato l’ateismo per allontanarsi dal profeta della religione più diffusa del mondo. Al punto da sposarne il linguaggio e la necessità dell’insegnamento:

C’è ancora qualcosa che vorrebbe scrivere?
«Un libro sul cristianesimo e Heidegger. Le sue pagine sulla preghiera sono un accenno di come vivere Cristo metafisicamente, senza credere che Dio c’è da qualche parte».
Si può essere cristiani senza credere che Dio esista?
«Io faccio anche la comunione, ma nessuno mi può smentire se dico che non so se Dio c’è. La libertà non deriva da un atto logico: “La mia libertà non può non derivare da un atto di libertà”, me lo ha insegnato Pereyson ed è il nocciolo del mio essere cristiano»

Non ho avuto un maestro come Pereyson, ma le parabole cristiane che mi raccontava mia nonna me le ricordo bene. Contengono alcuni degli insegnamenti più potenti che io oggi possa ricordare. Non hanno una dignità maggiore degli ḥadīth islamici o dell’upanishad induista, che tutti dovremmo leggere per scoprire quanto i loro fondamenti morali non siano poi così tanto distanti dai nostri, ma alle figure del cristianesimo sono legato per ragioni culturali e familiari, ovviamente.
La religione è prima di tutto spinta morale; si fa poi rito, linguaggio praticabile anche da chi non abbia avuto la ventura di incappare in quel momento di collisione fra uomo e dio (per dirla con Kierkegaard) che spinge gli uomini verso l’abbraccio della fede.
Non bisogna credere in Dio per essere cristiani, ci dice Gianni Vattimo, basta osservarne l’insegnamento: e anche seguirne il rito, se è un’esigenza dell’animo, è un atto cristiano. Probabilmente è un atto d’ordine, un metodo conforme al precetto morale.

Se quelli che oggi invocano la protezione del crocifisso nei luoghi pubblici come tutela delle proprie radici si ricordassero anche delle parole del Maestro di questa cultura e religione, oggi “Ero straniero e mi avete accolto” sarebbe il vero principio guida in questo marasma di xenofobia e paura del diverso.
I testi sacri, quelli che per i cristiani raccolgono la parola di Dio, sono zeppi di messaggi di accoglienza. Un testo che reputo straordinario risale al II secolo D.C., ed è la Lettera a Diogneto, e vi si può leggere questo passo di straordinaria intensità:

«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.»
(Lettera a Diogneto)

Oggi ci troviamo in un paese che rivendica con rabbia e paura le proprie radici cristiane, difendendo un crocifisso nei luoghi pubblici che è diventato vessillo da contrapporre a un Islam invasore. Non solo si rifiuta l’idea del meltin-pot che nel XX secolo ha contribuito alla crescita di gran parte dei paesi occidentali civilizzati ed evoluti, ma sembra farsi strada il pensiero che sia reazione lecita quella di respingere e allontanare, che il mancato soccorso in mare sia una forma di difesa, e che l’aggressione sia un colpo da sparare nel corso di una guerra non ancora dichiarata. L’idiosincrasia verso i migranti è ormai un sentimento che accomuna molti italiani a prescindere dalla professione religiosa, i simboli del cristianesimo oggi ritornano come simbolo di”difesa della razza” (che, per inciso, è una sola, quella umana: il resto sono tutte etnie), e politici come l’attuale Ministro dell’Interno ne fanno furbamente instrumentum regni, rinfocolando le paure e i bassistinti di una parte di popolo che oggi torna a gran voce a definirsi cristiano.
Voi, che gridate all’allarme, voi avete la mia stessa nazionalità scritta sul passaporto, voi mi spaventate più di quanto i migranti vi spaventino. Voi che vivete nella rabbia e nel timore dovreste imparare una cosa da noi agnostici: riscoprire il senso della domanda. Chiedetevi cosa sia Dio, quale la sia il suo messaggio e quale la sua volontà, in modo che “sia fatta”, come recitate in preghiera. Chiedetevi quali siano i precetti da seguire e, da bravi cristiani, osservatelo. C’è stato un terremoto in Galilea 2000 anni fa, è stato generato da idee potentissime che si sono trasfuse in vangeli e libri sacri. Quei testi sono lì, spesso li trovate nelle vostre case: basterà solo togliere la polvere dalla copertina, aprirli, e leggerli ad alta voce, o nel silenzio di una stanza.

Capirete così che il cristianesimo non passa dalla mera adorazione o dalla difesa di un Dio che la preghiera è nulla senza che l’etica diventi azione, e che certi agnostici o atei possono per questo dirsi più cristiani di voi disinteressandosi delle pagliuzze altrui per guardare le proprie travi, quando esercitano la carità invece di lasciare che sia solo una teorica virtù teologale. Quando non sferrano pugni ma tendono mani.

Non è necessaria la fede, per essere cristiani: è sufficiente restare umani.

Gero Miccichè
Gero Miccichèhttps://livellosegreto.it/web/@Eragal
Development Director di Electronic Arts, dove ha lavorato su GRID Legends, Need for Speed e adesso Battlefield. Vanta una lunga esperienza nella produzione in ambito televisivo, editoriale e audiovisivo, ricoprendo anche il ruolo di General Manager e Direttore Editoriale dell’emittente Teleacras. Per Gameloft ha prodotto Dragon Mania Legends e Disney Getaway Blast, anche qui partecipando attivamente alla produzione narrativa. Tra i fondatori del magazine letterario El Aleph, ha pubblicato racconti su diverse riviste e dal 2011 al 2017 è stato Direttore Artistico della rassegna letteraria televisiva ContemporaneA, dedicata alle nuove voci della letteratura italiana. Ha scritto e condotto svariate trasmissioni TV, fra cui la rubrica "Libri da ardere" e lo show videoludico GameCompass, del quale è stato direttore della testata giornalistica online. Giurato dei prestigiosi BAFTA Awards, è docente di Produzione e sviluppo di videogiochi presso la Digital Bros. Game Academy. Nel 2011, è stato insignito del premio Ignazio Buttitta e del premio Telamone per l'attività culturale, e nel 2022 ha vinto il DStars Awards, categoria “Far Star”, "per il suo contributo straordinario nello sviluppo da italiano in uno stato estero”. È fra i 100 sviluppatori italiani più importanti secondo la classifica di StartupItalia.
- Advertisment -

Most Popular

Recent Comments