Ricorre oggi il trentesimo anniversario della strage di Capaci. I processi hanno abbattuto il braccio operativo dell’attentato, ma la verità sarebbe ancora parziale.
Durante i 30 anni trascorsi dalla strage di Capaci del 23 maggio 1992 si sono susseguiti processi e sentenze di condanna, ma la verità, secondo la narrativa storica e giudiziaria da tempo ricorrente, sarebbe ancora parziale. E ciò perché si ritiene che le condanne abbiano illuminato solo il braccio criminale, armato e operativo dell’attentato, fino alla condanna all’ergastolo di Matteo Messina Denaro il 21 ottobre del 2020. Sarebbe invece ancora al buio il presunto braccio esterno a Cosa Nostra, il cosiddetto “doppio cantiere”, come lo ha definito l’attuale Procuratore Generale a Palermo, Lia Sava, ovvero il cantiere del tritolo, tra le mani di Giovanni Brusca, e il cantiere degli interessi esterni alla mafia. In tale ambito si inserisce la presunta trattativa tra Stato e mafia, però non riscontrata al processo in Corte d’Assise a Palermo. Meno ombroso è il movente dell’esplosione il pomeriggio di sabato 23 maggio di 30 anni addietro. Uno: la vendetta dei boss contro un magistrato che ha osato aggredire la mafia con metodi innovativi, demolendone l’impunità storica tramite un maxiprocesso concluso in Cassazione con una raffica di condanne alla fine del gennaio del ’92, quattro mesi prima della strage. Due: la morte di Falcone avrebbe dovuto essere anche preventiva perché il giudice, assunto da Claudio Martelli al ministero della Giustizia, avrebbe potuto essere da Roma ancora più pericoloso e devastante. Tre: la rabbia di Totò Riina contro l’esito del maxiprocesso, i traditori politici e il lancio della strategia stragista, la sfida terroristica allo Stato, battezzata il 12 marzo del ’92 con la morte di Salvo Lima. Dunque, il braccio criminale della strage Falcone è stato aggredito sin dal primo processo concluso il 26 settembre del 1997 con 24 ergastoli e pene ridotte per 5 collaboratori: Salvatore Cancemi, Santino Di Matteo, Calogero Ganci, Gioacchino La Barbera, e Giovan Battista Ferrante. In Appello sono stati inflitti oltre ai 24 anche altri 5 ergastoli. Poi la conferma in Cassazione del verdetto a carico, tra gli altri, della “Cupola” dell’epoca: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, e Pietro Aglieri. Poi, dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza, è stato condannato Cristofaro “Fifetto” Cannella. A Spatuzza e Cannella fu consegnato l’esplosivo che il pescatore Cosimo D’Amato recuperò da dentro le bombe non esplose durante la seconda guerra mondiale nel mare di Porticello, vicino a Palermo. L’uso dell’esplosivo sarebbe stato deciso come variante spettacolare e simbolica al piano originario di uccidere più facilmente Giovanni Falcone a Roma. E poi il 21 luglio del 2020 la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta ha confermato la condanna all’ergastolo di altri quattro imputati: Salvatore “Salvino” Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. Assolto Vittorio Tutino.