Home Cultura Qualcosa da rifare, di Aristide Tronconi

Qualcosa da rifare, di Aristide Tronconi

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La pandemia ci ha lasciato addosso cicatrici che ancora bruciano sotto pelle, ciascuno a modo suo è ancora lì a farci i conti. Il Covid – lo aveva già detto Galimberti – ha portato alla luce elementi rimossi come la morte, la vista della fragilità umana ci ha resi sgomenti e ha infranto la patina di immortale ottimismo della quale per anni ci siamo ammantati.
Ammetto, la fragilità, il senso di precarietà delle cose hanno messo semi dentro me anni or sono, ben prima dell’avvento del virus: la perdita di 4 familiari in 5 anni, l’esperienza di enormi e repentini cambiamenti, mi ha fatto sentire nudo e spaventato già poco meno di un decennio fa, ha sgretolato d’un colpo alcuni pilastri su cui fondavo la certezza del mio quieto vivere, rivelandomi quanto sia facile che il granito si trasformi in polvere d’un tratto, senza preavviso alcuno. La placidità di uno specchio lagunare può erompere in tempesta all’impatto di sassolini caduti lì per caso, del resto, a me è successo di dover prima contrastare il maremoto per poi ritrovami sul fondo, e di poter contare quasi soltanto su me stesso per risalire e riscattarmi.
Anche oggi che ho trovato soluzioni a molti di quei problemi vivo sempre con la precarietà nel cuore, come se chiunque mi è caro o qualunque cosa possa sparire da un giorno all’altro, come è accaduto con mio padre, mio zio Luciano, i miei nonni: la morte spesso non dà alcun preavviso, dissolve l’anima e lascia lì un corpo freddo, idolatria del dolore nel ricordo di quel che si è stati.
Avevo già i miei anticorpi alla precarietà dell’esistere dunque, quando è scoppiata la pandemia, ma questo non significa che io fossi al riparo dalle altre fragilità scoperchiate dallo stato pandemico. Ci ho messo del tempo a raggiungere un parziale equilibrio emotivo che era frutto di un percorso lento, faticoso, per certi versi doloroso e, per cause diverse e svariate, il susseguirsi di lockdown, isolamento sociale e cambio di paradigma lo ha sconquassato.
Per queste ragioni ho sentito molto vicino queste pagine, nel suo ampio ventaglio di argomenti il saggio di Tronconi si inabissa anche in questi temi: il discorso diparte da una digressione sulla peste del Trecento, nella quale lo psicoanalista analizza come al tempo sia stata affrontata la minaccia del virus. L’autore vi dedica così tanto spazio che la prima parte potrebbe sembrare un’ampollosa e dotta dissertazione storica.
Bisogna andare alla seconda parte del testo per scoprire l’utilità di questa storia sociale della malattia, alle pagine in cui lo studioso mostra come certi meccanismi ancestrali siano duri a morire, e come i concetti applicati agli umani vissuti secoli addietro possano trovare un corrispettivo nel sentire contemporaneo.
“Non è facile gestire in modo saggio la paura e il senso di impotenza, senza tuttavia negare l’importanza delle emozioni. La finitezza dell’uomo si scontra quasi sempre con il desiderio di superarla” dice Tronconi (nella pagina che trovate tra le foto) “Ma quando gli eventi smentiscono questa pretesa, si scatena la rabbia, il fastidio, l’odio, oppure, al contrario, la tristezza, la malinconia, il ritiro dalle interazioni e dalla vita attiva. Il problema non è sopprimere gli affetti e le tempeste emotive, ma dirigerli con misura verso oggetti appropriati.”
Citando Martha Nussbaum, la conclusione è che “La rabbia è talvolta giustificata e giusta. Sopprimere la rabbia significherebbe cancellare una teoria fondamentale per la giustizia sociale e la difesa degli oppressi. Se temiamo che la rabbia possa scatenarsi contro oggetti non appropriati, allora dobbiamo concentrarci su questo problema, non cercare di cancellare del tutto la rabbia stessa.”
E considerata la rabbia sociale che questa pandemia ha espresso, generato, esasperato, probabilmente il problema è soltanto peggiorato. Il Covid ha deturpato l’equilibrio emotivo dei singoli, su questo non ci piove.
Quel che reputo importante di questo libro è che alla pars analitica segue una pars costruens che vuole fornire – in maniera dotta, ponderata e con il piglio dello studioso competente – una direzione, un viatico per salvaguardare se stessi e la salute mentale in un’epoca in cui in maniera del tutto inedita ci ritroviamo a ripensare molti aspetti della nostra esistenza, un tempo in cui – se non tutto – abbiamo quantomeno qualcosa da rifare.
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Development Director di Electronic Arts, dove ha lavorato su GRID Legends, Need for Speed e adesso Battlefield. Vanta una lunga esperienza nella produzione in ambito televisivo, editoriale e audiovisivo, ricoprendo anche il ruolo di General Manager e Direttore Editoriale dell’emittente Teleacras. Per Gameloft ha prodotto Dragon Mania Legends e Disney Getaway Blast, anche qui partecipando attivamente alla produzione narrativa. Tra i fondatori del magazine letterario El Aleph, ha pubblicato racconti su diverse riviste e dal 2011 al 2017 è stato Direttore Artistico della rassegna letteraria televisiva ContemporaneA, dedicata alle nuove voci della letteratura italiana. Ha scritto e condotto svariate trasmissioni TV, fra cui la rubrica "Libri da ardere" e lo show videoludico GameCompass, del quale è stato direttore della testata giornalistica online. Giurato dei prestigiosi BAFTA Awards, è docente di Produzione e sviluppo di videogiochi presso la Digital Bros. Game Academy. Nel 2011, è stato insignito del premio Ignazio Buttitta e del premio Telamone per l'attività culturale, e nel 2022 ha vinto il DStars Awards, categoria “Far Star”, "per il suo contributo straordinario nello sviluppo da italiano in uno stato estero”. È fra i 100 sviluppatori italiani più importanti secondo la classifica di StartupItalia.

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