La Corte d’Assise d’Appello ha assolto Gaetano Sciortino, già condannato in primo grado a 24 anni di carcere per l’omicidio del marmista di Cattolica Eraclea, Giuseppe Miceli. I dettagli.
Il 21 gennaio del 2022 la Corte d’Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Mazzara, a fronte dell’ergastolo preteso dal pubblico ministero, Gloria Andreoli, ha condannato a 24 anni di carcere Gaetano Sciortino, 56 anni, di Cattolica Eraclea, imputato dell’omicidio del marmista Giuseppe Miceli, 67 anni, colpito mortalmente con un oggetto contundente nel suo laboratorio, nel centro cittadino di Cattolica, il 6 dicembre del 2015. Disposta anche la libertà vigilata, successiva alla condanna, per 3 anni. L’imputato è stato condannato a risarcire i familiari della vittima, costituiti parte civile tramite gli avvocati Antonino Gaziano e Salvatore Di Caro, con una provvisionale di 25.000 euro. Ebbene adesso, in secondo grado, la Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, ha ribaltato del tutto la sentenza di primo grado, e ha assolto Gaetano Sciortino, difeso dagli avvocati Santo Lucia e Giovanna Morello. A Cattolica Eraclea, tra il tardo pomeriggio e la sera di domenica 6 dicembre 2015, in via Crispi, all’interno di un’azienda artigiana di lavorazione del marmo, Giuseppe Miceli è stato ucciso. L’autopsia ha rivelato che a provocare la morte dell’uomo sarebbero stati dei colpi tra la nuca e la testa. Il fratello, Ignazio, contitolare dell’ azienda, lo ha scoperto morto e ha lanciato l’allarme. Il 19 ottobre del 2017 i Carabinieri del Comando provinciale di Agrigento hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Gaetano Sciortino. Le immagini delle telecamere hanno testimoniato che lui, Sciortino, operaio, la mattina del 6 dicembre avrebbe pedinato per circa tre ore Giuseppe Miceli. Si sarebbe mosso a bordo di un’automobile Fiat Punto di colore nero, e parecchio tempo è stato in sosta agli angoli delle strade da dove sarebbe stato possibile osservare i movimenti di Miceli. Poi i Carabinieri hanno accertato che i figli di Gaetano Sciortino avrebbero distrutto e disperso in aperta campagna alcuni strumenti di lavoro, come delle punte di trapano, risultati essere di proprietà di Giuseppe Miceli. E poi, inoltre, i Carabinieri hanno accertato che Sciortino si sarebbe recato ancora in campagna, e nella stessa zona i militari, dopo ricerche meticolose, hanno trovato una scarpa della stessa taglia delle scarpe usate da Sciortino. E poi, ecco la svolta nelle indagini: la scarpa è stata esaminata dai Carabinieri del Ris di Messina, ed è emerso che l’impronta della suola della scarpa, ritrovata in campagna nel luogo dove si è recato Gaetano Sciortino, combacia perfettamente con una impronta di scarpa oggetto di reperto dei Carabinieri sul luogo del delitto. I familiari della vittima hanno ripetuto più volte: “Giuseppe era un uomo buono, onesto, generoso e un validissimo artigiano del marmo. Non meritava di essere massacrato da mostri”. Dall’autopsia è emerso che il 67enne marmista è stato ucciso in modo efferato e crudele, colpito da oggetti contundenti, tra un piatto di marmo, un booster e due motorini per autoclave.