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“Il tempo spezzato”: riflessioni del giovane Giuseppe Scavone su quanto accaduto a Monreale

“Sono passati alcuni giorni da quella notte insopportabile, in cui Monreale si è svegliata senza il respiro dei suoi giovani. Due ragazzi, appena ventenni, sono stati brutalmente strappati alla vita, in un agguato che non ha lasciato scampo, mentre un terzo ha lottato per qualche altra ora per la propria vita ma anche su di lui la morte ha avuto la meglio. In quei minuti di assurda ferocia, la violenza ha scelto di spezzare non solo dei corpi, ma un’intera traiettoria umana: passioni, legami, ambizioni, prospettive. Il tempo ha smesso di fluire, si è spezzato, come una linea interrotta, e con esso si è fermato anche il fiato di un’intera comunità.

Non ho voluto scrivere subito. Serviva silenzio, serviva ascoltare la propria coscienza e osservare il dolore senza volerlo ridurre a parole affrettate. Ma questi giorni li ho usati per pensare, per tenere lo sguardo fisso su quella tragedia, e tentare, almeno, di costruire un pensiero lucido, che non fosse travolto né dall’impulso, né dal vuoto. Perché è proprio dal quel vuoto che, spesso, nasce la violenza. Non dal troppo, ma dal niente: dal vuoto di riconoscimento, dal vuoto di senso, dal vuoto di parola.

La violenza che ha colpito Monreale non è un errore del destino né una semplice degenerazione dell’istinto. È qualcosa di più profondo e più sinistro. È la vittoria momentanea dell’assenza di relazione, del venir meno di ogni possibilità di incontro con l’altro. Spesso si crede che la violenza sia l’opposto della ragione, un’esplosione cieca di irrazionalità. Ma è una lettura fin troppo comoda, rassicurante, che permette di allontanarla da noi stessi. In realtà, la violenza non nasce dalla follia, ma da una perversa costruzione dell’indifferenza: è ciò che accade quando l’altro non è più visto come persona, ma come ostacolo, nemico, oggetto.

In questo senso, possiamo affermare che la violenza non è soltanto un atto: è una cultura. E la cultura della violenza si alimenta in ogni gesto in cui l’altro è ignorato, negato, ridotto a simbolo di qualcosa da abbattere. È un linguaggio che cresce nel silenzio, quando si smette di parlare per comprendersi e si comincia a urlare per imporsi. “Quando la parola muore, la violenza irrompe” ci suggerì Recalcati qualche anno fa. E la violenza non è il contrario della parola, ma la conseguenza della sua morte.

La tragedia di Monreale ci impone anche di riflettere su cosa sia diventato il nostro rapporto con la morte, e con il dolore. Viviamo in una società che ha fatto dell’eccezionale un’abitudine. La morte violenta è diventata pane quotidiano per i notiziari, per i social, e persino nelle chiacchiere distratte. Ma proprio in questa esposizione continua rischiamo di perdere il senso del limite. Vediamo tutto, ma non sentiamo più nulla. Il dolore si consuma in fretta, si metabolizza e si dimentica, lasciando il campo a un senso di impotenza cronica e, peggio ancora, a una normalizzazione dell’orrore.

Eppure, quanto accaduto a Monreale non può, non deve essere normalizzato. Non possiamo accettare che la morte dei tre giovani diventi una riga fra tante, un dolore da archiviare. Perché in quelle bare ci sono domande che riguardano tutti noi: quale società vogliamo essere? Una società che accetta che i conflitti si risolvano con la sopraffazione? Una società che non insegna più a riconoscere l’altro, a discuterci, a rispettarlo? Una società dove si cresce nella solitudine e nell’odio, invece che nell’ascolto e nel legame? Una società che, anestetizzata e inerte, assiste alla morte violenta dei suoi figli?”

Non si tratta solo di qualche pillola di educazione civica, ma di maturare una visione del mondo eticamente corretta. Perciò o la parola torna ad essere lo spazio dell’incontro, o il fanatismo della violenza continuerà a prenderci alle spalle, sempre più giovane, sempre più feroce, sempre più abituato a vincere.

I ragazzi di Monreale non devono essere ricordati solo per come sono morti, ma per la vita che è stata loro negata. Una vita fatta di sogni, di attese, di amore. Salvatore Calvaruso in quell’istante posseduto dalla violenza non ha chiesto loro nulla: li ha scelti e colpiti. Non si è curata del dolore che avrebbe provocato, né delle madri, né degli amici, né delle vite che ha irrevocabilmente deviato. E questo ci deve inchiodare ad una terribile verità: la violenza non ha volti definiti ma maschere, maschere che lasciano dietro sé volti e famiglie spezzate.

Per questo, oggi più che mai, bisogna scegliere di opporsi alla cultura dell’annientamento. Ricostruire spazi di parola, di confronto, di riconoscimento reciproco. Solo così la violenza potrà essere davvero disarmata. Non con la vendetta, non con il rumore, ma con il coraggio di rimettere l’umano al proprio posto.

Con il cuore in mano ho voluto raccogliere queste parole per provare a dar voce alle lacrime di una Sicilia sempre più intrisa, giorno dopo giorno, di un rosso indelebile. Un rosso che non grida vendetta, ma ci impone di ricordare che nessun tempo di nessuna vita, mai più, deve esser spezzato in tal modo. Perché queste lacrime, tinte di quel rosso profondo, non possono e non devono segnare la fine. Devono essere l’inizio, fragile ma necessario, di una nuova presa di coscienza.”

Giuseppe Scavone

Angelo Ruoppolo
Angelo Ruoppolohttps://www.teleacras.it
Giornalista professionista, di Agrigento. Nel febbraio 1999 l’esordio televisivo con Teleacras. Dal 24 aprile 2012 è direttore responsabile del Tg dell’emittente agrigentina. Numerose le finestre radio – televisive nazionali in cui Angelo Ruoppolo è stato ospite. Solo per citarne alcune: Trio Medusa su Radio DeeJay, La vita in diretta su Rai 1, Rai 3 per Blob Best, Rai 1 con Tutti pazzi per la tele, Barbareschi shock su La 7, Rai Radio 2 con Le colonne d’Ercole, con Radio DeeJay per Ciao Belli, su Rai 3 con Mi manda Rai 3, con Rai 2 in Coast to coast, con Rai 2 in Gli sbandati, ancora con Rai 2 in Viaggio nell'Italia del Giro, con Striscia la notizia su Canale 5, con Radio 105 nello Zoo di Radio 105 e Rebus su Rai 3. Più volte è stato presente e citato nelle home page dei siti di Repubblica e di Live Sicilia. Il sosia di Ruoppolo, Angelo Joppolo, alias Alessandro Pappacoda, è stato il protagonista della fortunata e gettonata rubrica “Camera Zhen”, in onda su Teleacras, e del film natalizio “Gratta e scappa”, con una “prima” affollatissima al Cine Astor di Agrigento. I suoi video su youtube contano, al 6 ottobre 2024, 30.317.320 visualizzazioni complessive. Gli sono stati assegnati diversi premi tra cui: "Sipario d'Oro", "Alessio Di Giovanni", "Mimosa d'Oro", "Pippo Montalbano". Indirizzo mail: angeloruoppolo@virgilio.it