Presunto patto corruttivo per spartirsi appalti milionari nella sanità siciliana: la Cassazione conferma le condanne per alcune imputazioni e le annulla con rinvio per altre.
La Cassazione ha confermato le condanne per alcuni capi d’imputazione e le ha annullate per altre imputazioni con rinvio ad altra sezione di Corte d’Appello. L’annullamento si riferisce sia a ipotesi di reato che alla valutazione di eventuali circostanze attenuanti o aggravanti. Si svolgerà pertanto un secondo processo d’Appello dopo il primo che si è concluso il primo dicembre del 2023, quando la Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Adriana Piras, ha condannato 7 imputati e ne ha assolto uno giudicati in abbreviato nell’ambito dell’inchiesta “Sorella Sanità”. Sono stati inflitti 7 anni e 4 mesi di reclusione ad Antonio Candela, 60 anni, di Palermo, ex manager dell’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, ed ex responsabile della Cabina di regia regionale per il contrasto al covid in Sicilia. E poi 6 anni e 6 mesi a Fabio Damiani, ex manager dell’Azienda sanitaria di Trapani e responsabile della Centrale unica di committenza degli appalti. E poi 6 anni e 4 mesi a Giuseppe Taibbi, ritenuto il “faccendiere” di riferimento di Candela, 5 anni e 10 mesi a Roberto Satta, responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie Spa, 7 anni e 2 mesi a Francesco Zanzi, amministratore delegato della stessa società, 5 anni e 10 mesi a Salvatore Navarra, ex presidente del consiglio di amministrazione di Pfe spa, e 4 anni e 4 mesi al “faccendiere” Salvatore Manganaro, di Canicattì, ritenuto il referente di Fabio Damiani per gli appalti. Unico assolto è stato Angelo Montisanti, responsabile operativo per la Sicilia della società Siram. Il 4 febbraio del 2021 ha patteggiato la pena ed è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione Ivan Turola, presunto referente occulto della società Fer.Co. A Manganaro e Damiani è stata riconosciuta l’attenuante per avere collaborato con la magistratura. L’indagine della Guardia di Finanza, sfociata negli arresti il 22 maggio del 2020, ruota intorno a presunte tangenti milionarie che sarebbero state incassate da burocrati della sanità per agevolare le imprese interessate ad appalti, del valore complessivo di oltre 600 milioni di euro, da assegnare per lo svolgimento di servizi e l’erogazione di forniture. Agli imputati, a vario titolo, si contestano i reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.