La letteratura spagnola ha una storia piena di lacune. Forse una delle ragioni è il suo presunto carattere “realista”, fissato, ahimé, da Menéndez Pidal. L’avversione e il sospetto permanente verso l’immaginazione, di derivazione ecclesiastica molto più antica di qualsiasi condanna illuministica, hanno avuto l’effetto di asfissiare la nostra letteratura, la quale, afflitta da una tradizione romanzesca povera e un romanticismo inesistente, non è mai riuscita a raggiungere davvero la modernità. Sembra, insomma, che il rifiuto dell’immaginazione non sia servito a produrre una letteratura spagnola “realista”, ma semplicemente a disseccare la letteratura spagnola tout court. Sembra, insomma, che il rifiuto dell’immaginazione non sia una tendenza estetica, bensì il rifiuto dell’estetica stessa.
L’esplosione della letteratura d’immaginazione in Spagna dagli anni ’90 è, senza dubbio, un segnale di salute e anche un sintomo di quanto sia reale il processo di “normalizzazione” che il nostro Paese sta attraversando, e che desideriamo caldamente non svanisca come un sogno. Gli antecedenti sono ovvi e ben conosciuti: La saga/fuga de J.B., di Gonzalo Torrente Ballester; il boom della letteratura d’immaginazione ispanoamericana da Borges in poi; esempi indiscussi, insigni e magistrali come José María Merino; e molti altri casi che sembrano sempre eccezioni, come gli ultimi racconti di Cristina Fernández Cubas, o il geniale Ígur Neblí di Miquel de Palol, il Gene Wolfe spagnolo, anche se non in spagnolo ma in catalano.
Spada e stregoneria
Tuttavia, l’esplosione a cui mi riferisco va oltre il realismo magico o il risaputo realismo “con elementi fantastici”, in base al quale una narrazione con un, diciamo, quindici per cento di magia è già considerata “magica”, come se la fantasia fosse un bacillo infettivo. Ha a che fare soprattutto con il boom della letteratura fantastica anglosassone a partire dagli anni ’60, con la pubblicazione (e specialmente con la riedizione nel 1966) de Il signore degli anelli di Tolkien, nonché con la conseguente comparsa della “fantasy eroica” o di “spada e stregoneria”. Un genere che molto spesso accompagna l’evoluzione, inarrestabile anche quella, della fantascienza, che si addentra nel territorio della letteratura “seria” o “artistica” e produce le opere monumentali e inclassificabili di Thomas R. Pynchon, Gene Wolfe, John Crowley, Ursula K. Le Guin o, più recentemente, David Mitchell (Cloud Atlas. L’atlante delle nuvole, Frassinelli editrice), un autore che, giustamente, sarebbe impensabile in Spagna: è fantastico, è un genio della lingua ed è un successo di vendite.
È negli anni novanta che si comincia, per esempio, a sentire il nome di Javier Negrete, un autore di formazione classica che possiede una grandiosa immaginazione, capace di raccontare storie piene di interstizi e di sottigliezze, riflessioni intorno alla Storia, alla religione, alla cultura e alla condizione umana. La espada de fuego è forse la più conosciuta delle sue opere, insieme all’inizio della saga di Tramorea, in corso di svolgimento. Sorgono, o si consacrano, anche Pilar Pedraza, una sorta di Angela Carter spagnola; José Carlos Somoza, sempre originale e notevole; Elia Barceló, autrice con echi di Ursula K. Le Guin; Rafael Marín, il primo grande nome della fantascienza in Spagna; o Eduardo Vaquerizo che ha coltivato la fantascienza, il fantasy e il fantasy storico in Danza de tinieblas.
Fase supernova
Ma il fenomeno comparso nei felici anni novanta non declina con il nuovo secolo, anzi entra in fase supernova. Gli scrittori di horror, per esempio, si uniscono nel gruppo NOCTE, a cui appartengono autori già di culto, come David Jasso (Abismos), Ismael Martínez Biurrun (Rojo alma, negro sombra) o Emilio Bueso (Diástole). Gli appassionati della letteratura di zombi, dal canto loro, si stringono intorno alla “Línea Z” dell’editrice Dolmen, in cui possiamo leggere, per esempio, l’esilarante Quijote Z di Házael González, il cui cavaliere dalla triste figura si propone di ripulire la Spagna non dai giganti e dai cavalieri felloni, bensì dagli zombi.
Molte di queste opere presentano una marcata vena realista, di costume o anche scarnamente naturalista. È il caso di Fine (Guanda editrice), di David Monteagudo, i cui personaggi mangiatori di salsicce sono, in verità, molto lontani dagli elfi. Molti altri titoli sono dichiaratamente commerciali, come quelli di Carlos Ruis Zafón, Javier Sierra, Rafael Ábalos o Félix J. Palma, recentemente consacrato con La mappa del tempo (Castelvecchi editrice). Varie opere sono scritte da autori, alcuni di loro molto giovani, la cui conoscenza della letteratura sembra sommaria. Sono libri che abbondano di dialoghi, punti esclamativi, puntini di sospensione e punti e a capo. Qualsiasi lettore con esperienza li riconoscerà all’istante.
Forse a causa del successo dei libri di Laura Gallego, soprattutto della serie di Idhún (Fabbri editrice), molti di questi nomi si sono votati alla letteratura giovanile, anche se dobbiamo tenere in conto che scrittori come David Lozano (autore dei romanzi della serie La porta oscura, Salani editrice) rivendicano che i loro lettori siano giovani “dai quindici ai trent’anni”. Il che ci situa nel fenomeno del crossover, quello dei libri che possono essere letti tanto dagli adolescenti come dagli adulti, e la cui definizione di genere di solito viene decisa dallo stile della copertina: guerriere in bassorilievo, giovanile; foto in bianco e nero, per adulti.
Una delle migliori
All’interno del genere fantasy troviamo ogni sorta di libri, da opere molto interessanti a prodotti fabbricati e impacchettati in serie. Lunghe saghe, come La hora del diablo, di Antonio Martín Morales, o L’esercito nero, di Santiago García Clariac (Fabbri editrice), che intreccia il presente e il Medioevo, e opere ammirevoli come La guerra delle streghe, di Maite Carranza (Tea editrice), saga di stregoneria di tradizione celtica, che sarebbe ancora migliore se non cercasse così strenuamente di ingraziarsi il lettore adolescente.
Ma il capolavoro in questo campo è un romanzo di recente apparizione: Loba, della messicana Verónica Murguía*, vincitrice del Premio Gran Angular di letteratura giovanile. Non un libro specificamente per ragazzi, ma soprattutto e innanzitutto uno dei migliori romanzi in lingua spagnola degli ultimi anni. La copertina con draghi e unicorni sarà un ostacolo per il lettore affetto da pregiudizi che non scende al di sotto di Rilke e di Yeats, ma la verità è che questo libro è paragonabile solo ad opere dell’intensità dei racconti de La rosa segreta, di Yeats, o della finezza di prosa del Canto d’amore e morte dell’alfiere Christoph Rilke. Meraviglia il pensare che questa scrittrice del Nuovo Mondo sia a malapena stata in Europa. Non conosco altra realtà che la realtà di essere vivo in un libro le cui parole non riesco ad ascoltare senza un brivido. Non c’è altra magia nella letteratura se non la creazione di realtà.