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La scoperta della longitudine

Non avrei mai pensato di leggere un saggio sulla longitudine. Proprio mai nella vita. Ma questo libro è un dono per il compleanno, e quando un regalo arriva da qualcuno di cui ti fidi sai già che varrà la pena andare fino in fondo.
Nel primo terzo del libro, la divulgatrice americana Dava Sobel racconta bene le problematiche che tra XVII e XVIII secolo portarono a farne per molti un problema di Stato.
In particolare il Regno Unito si espandeva per mare, e più ci si spingeva verso mete lontane, più era facile perdersi.
Determinare la longitudine a terra era abbastanza semplice: si aveva una superficie stabile su cui lavorare, coordinate note a cui fare riferimento, un ambiente protetto per limitare gli errori di cronometri altamente instabili. Non era insomma un grosso problema.
Farlo in mare era tutt’altra storia: i primi navigatori oceanici dovevano fare affidamento sul “dead reckoning”, la navigazione stimata, con cui si tentava di stimare la posizione della nave in mare tenendo conto di. velocità, direzione e altri elementi del moto. Ma era una tecnica altamente imprecisa, che non riuscì a evitare incidenti e catastrofi, e quindi la morte di moltissimi naviganti e la conseguente perdita di svariate navi ed equipaggi, con grave nocumento per le casse dello Stato.
I capitani navigavano spesso in modalità “running down” andando verso la latitudine della meta (molto più facile da determinare, tramite l’altezza del sole o la stella polare) seguendone la linea, un po’ alla maniera dei Vichinghi.
Un simile approccio alla navigazione era molto limitante: bastava che il sole fosse coperto per far perdere la rotta, e questo significava giorni o settimane di navigazione in più, con razioni limitate e un alto rischio di scorbuto e altre malattie.
Il disastro navale di Scilly del 1707 che spazzò via 4 navi su 5 fu per gli inglesi la goccia che fece traboccare il vaso. L’incidente avvenne chiaramente per gravi errori nel determinare la posizione della nave e nel libro si riporta anche che l’ammiraglio Sir Cloudesley Shovell avrebbe impiccare un marinaio che, come una Cassandra, aveva condiviso alcuni calcoli fatti autonomamente che evidenziavano che la loro rotta era errata. Pare che un simile comportamento fosse visto come un atto di alta insubordinazione, e da qui la condanna. Questo episodio, che la Sobel presenta per vero, pare non sia stato mai appurato, ma resta indicativo.
Ad ogni modo, il disastro fu enorme – si stimano tra i 1500 e 2000 morti – e portò l’Inghilterra a considerare prioritaria la soluzione del problem e la conseguente istituzione di un Longitude prize (che consisteva in una cifra esorbitante, vicina ai nostri attuali 3 milioni di sterline) che un apposito Board of Longitude avrebbe assegnato, previa valutazione della bontà delle proposte.
La sfida era trovare un metodo pratico per determinare la longitudine di una nave in mare.
Molte nazioni seguirono l’esempio, in primis Francia, Spagna e Olanda, che avevano anche loro una politica marittima non da poco.
Ma a parte un’incursione di Galileo Galilei, che tentò di dare un contributo alla questione, fu l’Inghilterra il paese nel quale si fecero i maggiori passi avanti e in cui si trovarono infine le soluzioni più valide, in primis grazie a John Harrison, il geniale orologiaio che sfidò i grandi astronomi dell’epoca (si pensi che nemmeno Isaac Newton riuscì a sciogliere il nodo del calcolo della longitudine) e di cui qui si racconta la storia.
Figlio di un falegname, Harrison sin da piccolo aiutò il padre nel lavoro e cominciò a studiare gli orologi completamente da autodidatta in un piccolo paesino del Lincolnshire. Dallo studio degli orologi cominciò a realizzarne sempre di più precisi, finché un giorno decise imbarcarsi in una delle sfide più ardue dell’epoca.
Nonostante fosse privo di un’istruzione accademica, Harrison aveva occhio e mindset smaccatamente ingegneristici, e iniziò a costruire un prototipo che chiamò poi H-1, e che diede buoni primi risultati.
Harrison volle continuare a lavorare e perfezionare i suoi modelli, producendo prima l’H-2, e poi l’H-3, per il quale impiegò quasi 20 anni.
A quel tempo, dall’altro lato, il reverendo Nevil Maskelyne, astronomo aveva avviato gli studi sul calcolo della longitudine tramite il “metodo delle distanze lunari”, metodo che fu il primo antagonista degli orologi di Harrison (che vennero col tempo chiamati “cronometri”, proprio molto differenti dai normali orologi in termini di complessità, meccaniche e materiali).
Se si considera che il Board era composto da astronomi e retto da un Astronomo Reale, si può ben capire bene come il calcolo della longitudine fosse visto dagli astronomi come un problema da risolvere solo tramite gli astri, ed è per questo che Harrison venne largamente osteggiato nonostante gli straordinari risultati: era impensabile che un orologiaio potesse trovare sulla terra una soluzione a un problema la cui risposta si nascondeva chiaramente nelle alte sfere del cielo.
La cosa divenne ancor più difficile quando fu nominato Astronomo Reale lo stesso Maskelyne, che sulla questione era in evidente conflitto di interessi, avendo fatto progressi negli anni con il metodo delle distanze lunari, e avendo pubblicato vari annuari navali con tanto di effemeridi per il calcolo della longitudine.
Alla lunga anche questo metodo si mostrò valido, c’è da dire, ma era molto meno rapido e intuitivo dell’orologio di Harrison, il quale venne sottoposto a prove sempre più difficili per provare a dimostrarne l’inefficacia.
Fu l’intervento di Re Giorgio III a far sì che il lavoro dell’ormai quasi ottantenne Harrison e del figlio William fosse riconosciuto.
Nonostante l’intervento reale, il Board non assegnò il premio a nessuno, e circa 250 anni fa Harrison fu adeguatamente compensato dal Parlamento con del denaro.
Se dobbiamo individuare un anno in cui celebrare la scoperta della longitudine, potremmo scegliere il 1774, anno in cui il Parlamento decide di premiare il geniale orologiaio.
Pur essendo una figura affatto simpatica, in questo libro, Maskelyne ha comunque contribuito molto al calcolo della longitudine, essendo rimasto il suo metodo il più usato nel XIX secolo, soprattutto a causa degli alti costi di produzione del cronometro di Harrison. I due metodi sono stati per molto complementari, essendo anche il metodo delle distanze lunari un ottimo modo per verificare la precisione dei cronometri e aggiustarne gli scostamenti.
Nonostante l’ultimo modello, H-5, fosse più facilmente replicabile, il cronometro di Harrison restava comunque costoso e faticava a diffondersi: alla produzione su larga scala pensarono altri orologiai inglesi, che nel corso dei decenni successivi lavorarono su modelli che avevano come base l’H-5 (o il K-2, prodotto dall’orologiaio Kendall sulla base dei cronometri di Harrison).
Negli anni in cui si ambienta questo libro (che copre di fatto un paio di secoli) si traccia fisicamente il meridiano di Greenwich sul terreno di Londra, sancendo la longitudine zero in un solco e diventando lo standard internazionale per le carte topografiche e nautiche, nonché per l’ora mondiale.
Longitudine” è un interessante pezzo di storia di quell’umanità che ha cominciato a esplorare il mondo, ed è stato per me anche un’interessante spaccato del popolo del Regno Unito, di cui gente come Harrison e Maskelyne sembrano incarnare molti degli aspetti, gente di grande genio pratico, scaltra e collaborativa quanto pronta a farsi la guerra dove ci siano soldi e fama.
Gente che però alla fine ha permesso anche alle altre nazioni di navigare il globo terracqueo tanto caro ai politici nostrani.
Gero Miccichè
Gero Miccichèhttps://livellosegreto.it/web/@Eragal
Development Director di Electronic Arts, dove ha lavorato su GRID Legends, Need for Speed e adesso Battlefield. Vanta una lunga esperienza nella produzione in ambito televisivo, editoriale e audiovisivo, ricoprendo anche il ruolo di General Manager e Direttore Editoriale dell’emittente Teleacras. Per Gameloft ha prodotto Dragon Mania Legends e Disney Getaway Blast, anche qui partecipando attivamente alla produzione narrativa. Tra i fondatori del magazine letterario El Aleph, ha pubblicato racconti su diverse riviste e dal 2011 al 2017 è stato Direttore Artistico della rassegna letteraria televisiva ContemporaneA, dedicata alle nuove voci della letteratura italiana. Ha scritto e condotto svariate trasmissioni TV, fra cui la rubrica "Libri da ardere" e lo show videoludico GameCompass, del quale è stato direttore della testata giornalistica online. Giurato dei prestigiosi BAFTA Awards, è docente di Produzione e sviluppo di videogiochi presso la Digital Bros. Game Academy. Nel 2011, è stato insignito del premio Ignazio Buttitta e del premio Telamone per l'attività culturale, e nel 2022 ha vinto il DStars Awards, categoria “Far Star”, "per il suo contributo straordinario nello sviluppo da italiano in uno stato estero”. È fra i 100 sviluppatori italiani più importanti secondo la classifica di StartupItalia.
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