La Procura di Alessandria invoca la condanna a 21 anni di reclusione a carico di Giovanni Salamone, l’imprenditore agrigentino reo confesso dell’omicidio della moglie, Patrizia Russo.
Innanzi alla Corte d’Assise di Alessandria, presieduta da Maria Teresa Guaschino, il pubblico ministero, Andrea Trucano, ha invocato la condanna a 21 anni di reclusione a carico di Giovanni Salamone, attualmente detenuto nel carcere di Genova, 62 anni, di Agrigento, imprenditore agricolo, imputato di avere ucciso la moglie Patrizia Russo, 53 anni, anche lei di Agrigento, il 16 ottobre scorso, nell’abitazione di via Cavoli a Solero in provincia di Alessandria in Piemonte dove lei è stata a lavoro come insegnante. Gli si contesta l’omicidio volontario aggravato dall’averlo commesso contro la coniuge e per futili motivi. Lui ha colpito lei più volte al torace e alla schiena con un coltello da cucina. Appena dopo essere stato arrestato ha raccontato: “Ieri sera abbiamo cenato con suo fratello. Abbiamo parlato anche di me, visto che da qualche giorno mi sento depresso e anche lei mi vedeva cupo. Ho dei debiti, ma lei stessa mi aveva rassicurato dicendo che non era nulla di grave e che saremmo andati avanti. Quando siamo andati a dormire lei si è addormentata subito, io invece mi assopivo e mi risvegliavo, non riuscivo a dormire come avrei voluto. Intorno alle 5, allora, sono sceso a prendere il coltello e l’ho ammazzata. Ho fatto una cavolata”. I conoscenti descrivono la coppia come “affiatata, mai una lite o un diverbio, sempre uniti”. Lei a telefono con un’amica la sera prima di essere uccisa le ha confidato: “Ho paura che possa fare una sciocchezza. E’ il mio faro, ne morirei. C’è mio fratello, questa sera ne parliamo con lui. Non lo riconosco più, mi spavento a lasciarlo solo domani”. Tre giorni dopo il femminicidio, il 19 ottobre, Giovanni Salamone ha tentato il suicidio nel carcere “Cantiello e Gaeta” di Alessandria. Ha approfittato dell’assenza del compagno di cella, in doccia, e si è legato al collo un cappio rudimentale ricavato con delle lenzuola. Gli agenti della Polizia penitenziaria lo hanno bloccato in tempo. I figli della coppia, Francesco e Giuliana, si sono costituiti parte civile tramite gli avvocati Maria Luisa Butticè e Anna Maria Tortorici. Adesso si sono associati alla proposta di condanna ritenendo però la pena non congrua. Salamone è difeso dall’avvocato Salvatore Pennica, che arringherà il prossimo 14 luglio. Il femminicida sarebbe preda di un grave stato depressivo insorto alcuni mesi addietro, quando gli sono state recapitate delle cartelle esattoriali relative alla sua azienda agricola ad Agrigento con addebiti che avrebbe temuto di non essere in grado di pagare. Lo scorso 12 maggio in aula ha dichiarato in modo troncante: “Ho ucciso mia moglie perché in quel momento ero posseduto da Satana”. La Corte d’Assise ha rigettato l’istanza della difesa di eseguire una perizia psichiatrica sull’imputato. Il pubblico ministero ha sottolineato: “L’imputato è un narcisista, il classico uomo siciliano che entra in crisi quando non è più il sole della casa. E’ sano di mente. Quando ha ucciso la moglie è stato del tutto capace di intendere e di volere”.